L’impugnazione delle delibere condominiali di cui all’art. 1137 c.c. deve essere proposta con ricorso o con citazione?

Sul punto si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 8491 del 14 aprile 2011, affermando che l’art. 1137 c.c. non disciplina la forma delle impugnazioni delle deliberazioni condominiali:  Il termine “ricorso” di cui all’art. 1137 c.c. – testo ante riforma – viene infatti utilizzato nel senso generico di istanza giudiziale, che si ha facoltà di proporre per ottenere l’annullamento delle deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, soggetta alle norme comuni di procedura.  La norma in considerazione si limita infatti a consentire ai dissenzienti ed agli assenti (anche agli astenuti dopo la legge di riforma)  di agire in giudizio, per contestare la conformità alla legge o al regolamento di condominio delle decisioni adottate dall’assemblea, senza disporre alcunché in merito alle relative modalità, che vanno individuate sulla base della generale previsione dell’art. 163 c.p.c., secondo cui “la domanda si propone mediante citazione”.

La domanda giudiziale è comunque ritenuta valida anche qualora venga presentata con ricorso, essendo sufficiente che entro i trenta giorni stabiliti dall’art. 1137 c.c., l’atto venga depositato in cancelleria, e non anche notificato, essendo il semplice deposito del ricorso idoneo a costituire validamente il rapporto processuale.

Sul solco della pronuncia in commento, la legge di riforma della materia condominiale ha modificato l’art. 1137 c.c. sostituendo le parole “fare ricorso all’autorità giudiziaria” con “adire l’autorità giudiziaria”, eliminando così ogni possibile equivoco in merito all’interpretazione del termine “ricorso” utilizzato nel testo ante riforma

(Cassazione civile, sez. un., 14/04/2011, n. 8491)

 

Possono i singoli condomini agire in giudizio per far valere il diritto all’equa riparazione per l’eccessiva durata di un processo a cui aveva preso parte unicamente  il condominio in persona dell’amministratore?

Hanno fornito una risposta negativa a questo quesito le Sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 19663 del 18 settembre 2014 in cui veniva affermata la legittimazione del condominio, munito necessariamente di mandato assembleare, non potendo l’amministratore intraprendere autonomamente azioni giudiziali non conservative, ad intentare un’azione volta ad ottenere un’equa riparazione per l’eccessiva durata di un processo che lo vedeva direttamente coinvolto.

Il diritto ad ottenere detta equa riparazione non si ricollega infatti alla situazione soggettiva che costituisce l’oggetto del processo presupposto, bensì alla sofferenza correlate all’ingiustificata protrazione del giudizio stesso, essendo quindi imprescindibile il ruolo di parte processuale.

A nulla rileva pertanto che il processo verta su diritti connessi alla partecipazione dei singoli condomini al condominio poiché, come detto, il diritto ad ottenere l’indennizzo presuppone necessariamente il ruolo di parte processuale, spettando quindi unicamente al condominio, unica parte nel processo in questione, autorizzato in tal senso dall’assemblea, agire in giudizio per ottenere l’equa riparazione per l’irragionevole durata del procedimento.

(Cassazione Civile, Sezioni Unite, 18 settembre 2014 n. 19663)

 

Con quale azione giudiziale il condomino può ottenere la rimozione degli stenditoi posti sul balcone dell’appartamento sovrastante il suo con tutte le relative conseguenze, in particolare ombra e gocciolio?

Sul punto si è pronunciata la sesta sezione civile della Corte di Cassazione la quale ha affermato che l’azione da esperire allo scopo sopra indicato è l’actio negatoria servitutis, di cui all’art. 949 c.c. in quanto il continuo gocciolio dei panni sul balcone sottostante costituirebbe l’affermazione di un diritto di natura reale sul balcone dell’appartamento sottostante, il cui esercizio costante per il periodo prescritto dalla legge comporterebbe l’usucapione del diritto di servitù di stillicidio.

Cass. Civ. sez. VI, 16 agosto 2012 n. 14547

 

E’ necessaria una delibera assembleare per conferire mandato ad un difensore per rappresentare il condominio in un giudizio di impugnazione di una delibera assembleare?

A tale quesito ha fornito una risposta negativa la Seconda Sezione Corte di Cassazione con sentenza n. 8309 depositata il 23 aprile 2015 affermando, sul solco di un costante principio di diritto affermato dallo stesso Collegio di legittimità, che in tema di condominio negli edifici, l’amministratore può resistere all’impugnazione della delibera assembleare e può gravare la relativa decisione del Giudice senza necessità di una specifica autorizzazione, né ratifica da parte dell’assise condominiale, rientrando l’esecuzione e la difesa delle delibere assembleari tra le attribuzioni proprie dell’amministratore stesso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 8309/15; depositata il 23 aprile.

 

L’amministratore del condominio è legittimato ad agire in giudizio ex art. 1669 c.c. (rovina e difetti di cose immobili), quando i pregiudizi derivino da vizi riguardanti le parti comuni dell’immobile, anche se di riflesso questi interessano le parti costituenti proprietà esclusiva di singoli condomini?

Sul punto si è espressa positivamente la seconda sezione della Corte di Cassazione con sentenza n. 8512 depositata il 27 aprile 2015, affermando la legittimazione ad agire del Condominio per ottenere il ristoro dei danni verificatisi nella parte frontale ed inferiore dei balconi, costituendo tali parti un bene condominiale, vista la loro funzione estetica e che le infiltrazioni avevano danneggiato soprattutto “l’euritmia della facciata”. La Suprema Corte ha poi evidenziato come, per giurisprudenza costante, sia stata ampliata l’interpretazione dell’art. 1130 comma 4 c.c., che prevede il potere – dovere dell’amministratore di compiere atti conservativi a tutela delle parti comuni dell’edificio, fino ad affermare la legittimazione ad agire ex art. 1669 c.c., a tutela indifferenziata dell’edificio nella sua unitarietà, in un contesto nel quale i pregiudizi derivino da vizi afferenti le parti comuni dell’immobile, anche se interessanti, di riflesso, quelle costituenti proprietà esclusiva dei condomini.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 8512/15; depositata il 27 aprile.

 

Può il regolamento di condominio prevedere un foro competente diverso a quello del distretto in cui lo stabile è sito?

Sul punto si è pronunciata affermativamente la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17130 depositata il 25 agosto 2015, in cui veniva dichiarato competente a decidere di una controversia inerente uno stabile condominiale sito in Tempio Pausania il  Tribunale di Milano, indicato come competente nel regolamento condominiale. In detta sentenza la Suprema Corte affermava infatti che il disposto di cui all’art. 23 c.p.c. in cui viene designato come foro competente per le cause tra condomini o tra condomini e condominio quello del luogo in cui sono siti i beni comuni o la maggior parte di essi – in altre parole il giudice del luogo in cui si trova l’immobile condominiale – introduce un foro speciale ed esclusivo per questo tipo di cause, ma il carattere di esclusività della competenza territoriale non significa che la stessa sia anche inderogabile. Le ipotesi di inderogabilità della competenza territoriale sono infatti tassativamente enumerate nel testo dell’art. 28 c.p.c. e le cause tra condomini o tra condomini e condominio non vi rientrano. Conseguentemente, per le cause in questione, è possibile derogare alla competenza territoriale in caso di valido accordo tra le parti sul punto.

Viene da domandarsi se, in pratica, sia o meno effettivamente configurabile una valida accettazione della clausola di deroga alla competenza territoriale contenuta nel regolamento contrattuale: tale clausola è infatti, per costante giurisprudenza considerata onerosa e da approvarsi specificamente e, nella prassi, in sede di stipula del rogito notarile, l’acquirente di un immobile sito in uno stabile condominiale, dà atto di aver preso visione del regolamento condominiale e di approvarlo in ogni suo punto.

Corte di Cassazione, VI sez. Civile, ord. 17130/2015 depositata il 25 agosto 2015.

 

In un causa promossa da un condomino al fine di far accertare che un tratto di area di parcheggio comune costituente spazio di manovra era stato abusivamente inglobato dal convenuto nella propria autorimessa, vi è litisconsorzio necessario nei confronti di tutti gli altri condomini?

A tale quesito hanno fornito una risposta le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 25454 del 13 novembre 2013 in cui affermavano che, nel caso in cui il condomino convenuto avesse proposto eccezione riconvenzionale di proprietà esclusiva, allora non vi sarebbe litisconsorzio necessario in quanto tal eccezione sarebbe stata proposta unicamente al fine di ottenere il rigetto della domanda avversaria, con un accertamento domandato incidenter tantum a tale scopo. Per contro, nel caso in cui il condomino convenuto avesse proposto, ai sensi degli artt. 34 e 36 c.p.c., domanda riconvenzionale volta alla dichiarazione della sua proprietà esclusiva, quindi idonea a costituire giudicato formale nei confronti dell’intera compagine condominiale, allora si verificherebbe un’ipotesi di litisconsorzio necessario.

 

Può il Condominio ottenere in giudizio il risarcimento dei danni non patrimoniali patiti a causa di condotte dell’amministratore integranti il reato di appropriazione indebita?

Sul punto ha fornito una risposta affermativa la Terza Sezione Civile del Tribunale di Torino, nella persona del Dott. Di Capua, il quale, nella propria ordinanza n. 31832 del 17 dicembre 2014 che decideva su una richiesta di sequestro conservativo formulata da un Condominio nei confronti del proprio ex amministratore, il quale aveva posto in essere condotte integranti la fattispecie del reato di appropriazione indebita, affermava che nella determinazione del credito del condominio dovesse anche essere computato il danno non patrimoniale patito dal condominio stesso. Affermava infatti il Giudice che, sussistendo gli estremi del reato di appropriazione indebita, potessero riconoscersi in favore del condominio i danni non patrimoniali cagionati dall’ex amministratore, determinati equitativamente in € 15.000,00 (contro i 20.000,00) richiesti dal ricorrente.

 

 

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