L’art. 1117 c.c. sancisce una presunzione di condominialità di alcune parti dell’edificio o la natura condominiale di dette parti?

Sul punto si è pronunciata la seconda sezione della Suprema Corte, la quale ha affermato che, in tema di condominio negli edifici, l’art. 1117 c.c. contiene un’elencazione meramente esemplificativa dei beni, servizi ed impianti che si devono considerare di proprietà comune, non sancendo quindi una presunzione di condominialità ma un vero e proprio diritto di condominio superabile solamente da differenti disposizioni pattizie. Il carattere non tassativo dell’elencazione non sancisce infatti una mera presunzione di condominialità, ma afferma in modo positivo detta natura condominiale, che può essere esclusa non già con qualsiasi mezzo di prova (come sarebbe nell’ipotesi di presunzione), ma solo in forza di un titolo specifico, inevitabilmente in forma scritta, dal momento che riguarda beni immobili. E’ quindi importante, al fine di determinare la natura condominiale o meno di alcune parti dell’edificio, trascurando possibili elementi desumibili da meri comportamenti degli originari unici proprietari, concentrare invece l’indagine sull’esistenza o meno di un titolo che riservi la proprietà delle specifiche parti dell’edificio – nel caso in esame il lastrico solare – ad alcuni condomini in particolare, rinvenendo tale eventuale titolo nell’atto costitutivo del condominio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 21 ottobre 2014 – 5 marzo 2015, n. 4501

 

E’ possibile vendere il corridoio condominiale?

Sul punto ha fornito una risposta negativa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1680 del 29 gennaio 2015, la quale si è pronunciata in merito alla validità di alcune clausole contrattuali che in pratica avevano privato un condomino della possibilità (sino ad allora esercitata) di servirsi, per accedere al suo ufficio, del corridoio e della scala condominiale. L’attore infatti aveva adito il Tribunale affermando di essere proprietario di due vani, posti al piano terra ed al piano ammezzato dello stabile, utilizzati per la sua attività di ottico, chiedendo di dichiararsi l’inefficacia delle clausole contrattuali con cui i suoi stessi danti causa avevano venduto tre vani posti anch’essi al piano ammezzato dello stabile, dando atto di aver murato l’apertura che in precedenza permetteva l’accesso all’unità immobiliare dell’attore. Quest’ultimo adduceva la proprietà comune e la conseguente inalienabilità del corridoio che aveva sempre in precedenza utilizzato per accedere al proprio immobile. La Suprema Corte ha accolto le tesi attoree sulla base del principio di diritto secondo il quale l’elencazione delle cose comuni contenuta all’art. 1117 c.c. non è tassativa, ma solamente esemplificativa, essendo cose comuni, salvo che risulti diversamente dal titolo, anche quelle aventi un’oggettiva destinazione al servizio comune delle unità immobiliari di proprietà individuale, dovendo ritenersi nulla, per violazione della norma imperativa di cui all’art. 1118 comma 2 c.c., la clausola del contratto di vendita della singola unità immobiliare che escluda la coeva cessione della comproprietà su una o più cose comuni.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 1680/15; depositata il 29 gennaio

 

Può un condomino aprire un varco nel muro perimetrale del condominio per collegare l’immobile di sua proprietà ad altro immobile estraneo all’edificio condominiale?

A tale quesito ha risposto negativamente la Corte di Cassazione la quale ha affermato, con sentenza n. 21395 del 18 settembre 2013 che, in tema di utilizzazione del muro perimetrale dell’edificio condominiale da parte del singolo condomino, costituiscono un uso indebito della cosa comune ai sensi degli artt. 1102 e 1122 c.c. le aperture praticate dal condomino nel detto muro per collegare locali di sua esclusiva proprietà facenti parte dell’edificio condominiale con altro immobile estraneo al condominio. Tali aperture, infatti, estranee alla funzione di recinzione del muro, ne alterano la destinazione e possono dar luogo all’acquisto di una servitù di passaggio a carico della proprietà condominiale.

Cass. Civ. Sez. II, 18 settembre 2013 n. 21395

 

Si può trasferire un’unità immobiliare sita in uno stabile condominiale escludendo la comproprietà su una o più parti comuni?

Sul punto ha fornito una risposta negativa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20216 depositata il 21 agosto 2017 pronunciandosi su una controversia insorta in merito alla validità di una clausola contenuta in un rogito notarile di compravendita in cui veniva escluso il trasferimento del diritto di comproprietà sul cortile, rivendicato dai venditori in virtù di detta clausola, contenente un’ espressa riserva della comproprietà del cortile stesso. Come già la Suprema Corte aveva affermato (cfr. ex multis: Cass. Civ. Sez. II n. 1680 del 29/01/2015, Cass Civ. Sez. II, n. 6036 del 29/05/1995), infatti, la clausola contenuta nel contratti di compravendita immobiliare con cui viene esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune parti comuni è affetta da nullità, costituendo tale clausola una rinuncia ai diritti sulle parti comuni stesse, vietata ai sensi dell’art. 1118 comma 2 c.c., che testualmente recita “il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni”.

(Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 20216/17; depositata il 21 agosto)

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